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Abelardo, Pietro.

Teologo e filosofo francese. Primogenito di una ricca famiglia, studiò a Parigi Teologia e Filosofa sotto la direzione di Anselmo di Laon, mostrando un forte temperamento di polemista e di arguto dialettico. Nel 1113 gli furono concessi un canonicato (non era riuscito nel frattempo a ottenere gli ordini sacri) e la cattedra alla Scuola di Teologia di Notre-Dame. Si rivelò insegnante affascinante: gli studenti, a migliaia, affollarono le sue lezioni; i suoi libri e manoscritti (specie quello conosciuto come Sic et non) conobbero una notevole fortuna. Nutrì un infelice amore per la sua allieva Eloisa, nipote del canonico Fulberto. Pietro non poté sposarla, e si unì a lei segretamente; divenuta nota la vicenda, gli amanti furono separati e ad A. fu inflitta una penosa mutilazione. Purtroppo sono andati perduti i componimenti poetici che A. compose a riguardo; probabilmente essi non mancarono di influire sulla contemporanea arte trobadorica. Il sapere, le avventure, la popolarità gli procurarono molti nemici in campo religioso e dottrinale. Condannato per eresia (Concilio di Soissons del 1121 e Concilio di Sens del 1141), minato dal male, si ritirò in un convento nel Priorato di Saint-Marcel: qui compose le opere forse più importanti, conservando sempre il rigore e la coerenza che lo avevano caratterizzato fin dai primi anni di insegnamento. Rimase famoso per le dispute contro Roscellino, Guglielmo di Champeaux e San Bernardo. Il pensiero di A. esercitò una profonda influenza sulla filosofia medievale successiva, soprattutto su Pietro Ispano e Giovanni di Salisbury. La dottrina morale del filosofo si basa principalmente sul principio dell'intenzione: il peccato, secondo A., non consiste nel fare un'azione che si dovrebbe evitare, ma piuttosto nell'acconsentire a tale gesto. Tuttavia per A., oltre che a una sfera morale, l'uomo può rivolgersi alla sfera teologica, che è in grado di determinare in modo oggettivo e definitivo ciò che è bene e ciò che è male. Molti studiosi oggi ritengono A. un razionalista, ma non va dimenticato che egli fu anche un insigne teologo: mantenendo una rigida e netta divisione fra filosofia e teologia, diede sempre maggiore importanza a quest'ultima, dotata essa sola del principio di autorità. A. fu però convinto che non vi fosse essenziale opposizione fra verità filosofica e verità teologica e per questo fece uso della dialettica anche in materia teologica. Il campo in cui maggiore fu l'originalità del pensiero di A. resta, comunque, quello logico: in quest'ambito, sulla scorta di Boezio e Prisciano, affrontò il controverso problema degli universali superando la divaricazione fra le posizioni del Realismo e del Nominalismo con una personale soluzione, che da allora fu detta Concettualismo. Tra le opere principali citiamo: Dialectica (1121); Theologia (1123); Scito te ipsum (1129). Per la sua biografia sono di fondamentale importanza le lettere scritte a Eloisa (Palais, Nantes 1079 - Châlon-sur-Saône 1142).